mercoledì 31 agosto 2011

Tirolo: Nello zaino Libertà


Ogni qual volta si voglia organizzare un viaggio in macchina per lasciare l’Italia e visitare le eclettiche bellezze della mittle-Europa, il primo passaggio obbligato passando per il Brennero consiste nel Tirolo; vale la pena infatti concedersi qui la prima sosta. Anche perché, non tutti lo sanno, con la benzina austriaca si risparmia in media 20 centesimi al litro rispetto alla Germania o all’Italia, però per trovare un distributore bisogna lasciare l’autostrada.

Storicamente il Tirolo è sempre rientrato sotto l’influenza culturale Asburgica, nel medioevo e nel rinascimento. Dalla fine della Grande Guerra la regione è divisa tra Italia e Austria, conta quasi un milione di abitanti, dei quali due terzi sono di stirpe tedesca. La convivenza di queste distinte realtà etniche, soprattutto nel sud-Tirolo, rende peculiare la cultura della zona e soprattutto si è mostrata come primo modello di integrazione dei popoli europei fin dai primi decenni del XX secolo: proprio questo rese i fondamenti dei primi accordi del Patto d’Acciaio che sventarono l’italianizzazione forzata programmata dai liberali, gettando le basi per la cooperazione istituzionale della nuova Euroregione Tirolo-Altro Adige-Trentino.

Il capoluogo è Innsbruck, tradotto letteralmente “ponte sull’Inn”. La città, sede centrale della Convenzione per le Alpi, sorge incastonata in questa valle a soli 500 metri sopra il livello del mare, da cui si ergono ripide  le catene alpine dei monti del Karwendel e dal Patscherkofel, che raggiungono i 2700 metri.

Nel pensare al Tirolo non si può prescindere dal considerarla una terra radicata alle sue tradizioni. Gran parte della sua cultura è legata alla religione Cattolica. Da questo si può subito notare il biglietto da visita che si trova all’ingresso della cittadina: una grande Croce con l’iscrizione in tedesco “Tu che vai, fermati un istante, guarda i ghiacci e i segni di Colui, che morì per la nostra redenzione, insegnandoci che la morte è la via verso la vita”.

Infatti l’architettura urbana non è degna di nota, a parte un paio di chiese, quello che veramente costituisce il potere di attrazione di questa località sono le migliaia sentieri di montagna, tutti da scoprire. In questo breve soggiorno ha più attirato la mia curiosità quello che i reduci della Wehrmacht percorrono per depositare nella cappella del Gross Glockner le medaglie conquistate sul campo di battaglia, sotto l’epigrafe “A Dio devo l’audacia che mi ha conferito questo onore”.

Vale veramente la pena visitare infine la celebre Cappella d’Argento del XVI secolo, eretta dagli Imperatori del Sacro Romano Impero, che oltre all’elevato rilievo artistico la tradizione vuole abbia ospitato il Sacro Graal, per questo è meta di pellegrinaggi, nonché di importanti studi sulla ricerca dell’Eredità Ancestrale come quelli da parte della Ahnenerbe tra gli anni ’30 e ’40.

Detto questo, non resta che far visita, quindi vi auguriamo un buon viaggio!


Nucleo Prati Boccea


Patria: laddove si combatte per la tua idea

venerdì 26 agosto 2011

Te lo dico io come ti sei ridotta in questo stato...


http://www.youtube.com/watch?v=0F0jdzShQJY&feature=feedrec_grec_index
"E poi se ne vanno tutti, da qua se ne vanno tutti, non te ne accorgi ma da qua se ne vanno tutti, come ti sei ridotta in questo stato?".

Te lo dico io come ti sei ridotta in questo stato...

Da quand'è nata l'Italia niente in Italia va bene. Non piace a nessuno, manca sempre qualcosa e ha sempre meno degli altri. La sua erba è costantemente meno verde di quella del vicino, che il vicino sia il tunisino disidratato piuttosto che il francese con la puzza sotto il naso. Pare che, proprio la conformazione geologica della penisola, istighi gli italiani a fuggire via, essi si sentono stretti tra le acque mediterranee, essi odiano il clima continentale, il mare troppo azzurro della Sardegna, la pressione fiscale, la torre storta di Pisa, il colosseo bucato di Roma, il tasso di disoccupazione e chi più ne ha più ne metta. Questa Italia, a noi italiani, ci fa proprio schifo. Ma allora, noi italiani, che l'abbiamo fatta a fare?

La risposta è semplice, la trovate anche su wikipedia: cercate "Italia" e dopo aver letto l'introduzione che trovate qui sotto, cliccate sulle voci storia, ambiente, arte, tradizioni, scienza... vi ricorderete improvvisamente di non essere gli ultimi uomini della terra.
"L'Italia, settima potenza economica mondiale, è un paese con un alto standard di vita... È inoltre membro del G7, G8 e G20... È il paese col maggior numero di siti patrocinati UNESCO[3] ed il quinto paese più visitato del mondo; l'indice di sviluppo umano, 0,854, è molto alto e l'aspettativa di vita risulta al primo posto in Europa e al secondo nel mondo.[4]

La domanda è: ma lo sanno gli italiani? Caparezza sicuramente non lo sa.
Caro Caparezza, sei un bravissimo cantante, ma il volo per New York, in offerta su Ryanair costa veramente molto poco. Offro io!


lunedì 22 agosto 2011

Storie di Libia, storie d'Italia


Gheddafi è vivo, Gheddafi è morto, anzi no l'hanno visto in motocicletta con il mullah omar.
Gira voce sia a fare shopping su Via Tuscolana, indisturbato, sotto gli sguardi curiosi dei passanti.
Radio e giornali stanno impazzendo, una fuga di notizie mai vista prima. Dopo la presa di Tripoli da parte dei ribelli è partita la caccia all'uomo. E' questione di giorni, forse di poche ore ma il rais è con le spalle al muro ed ora (come in qualsiasi film che si rispetti) sta con le mani sul volto e rivede passare davanti a se i giorni della sua vita. La rivoluzione "socialista", la cacciata degli italiani, la strage di Pan am, le lotte intestine, l'auto proclamazione di re d'Africa, la crescita economica e poi ancora le nuove amicizie in occidente, le visite in Europa fino alla proclamazione di "tutore" dei diritti umani. Gheddafi è li, con la schiena a quel muro e pensa. Forse, quegli italiani non erano così stronzi: hanno porto le scuse, hanno riaperto le porte, hanno rinunciato a molte amicizie ed ora, sono incastrati anche loro, con le spalle allo stesso muro, vedendosi ripassare di fronte al volto le strette di mano, le tende nei parchi, le inutili scuse. Entrambi, con le mani sul volto e con le spalle al muro

Dove cerchi?


venerdì 19 agosto 2011

Ma và?


Bologna, 19 agosto 2011 - DOPO 31 anni, potrebbe essere arrivato il momento di riscrivere la storia della strage di Bologna. L’inchiesta bis aperta sulla bomba che il 2 agosto 1980 sventrò la stazione uccidendo 85 persone e ferendone oltre 200 è infatti a una svolta clamorosa. Per la prima volta ci sono due nuovi indagati, che appartengono ad ambienti opposti rispetto al terrorismo nero di Valerio Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, condannati in via definitiva per l’eccidio. Il procuratore Roberto Alfonso e il pm Enrico Cieri, a pochi giorni di distanza dall’ennesimo, doloroso, anniversario, hanno iscritto sul registro degli indagati i terroristi tedeschi di estrema sinistra Thomas Kram, 63 anni, e Christa Margot Frohlich, 69. Entrambi legati al gruppo del famigerato terrorista internazionale Carlos lo Sciacallo, al secolo Ilich Ramirez Sanchez, attualmente detenuto in Francia.


IL NUOVO scenario che prende corpo è quello della cosiddetta ‘pista palestinese’, secondo cui la strage fu una vendetta del Fronte popolare per la liberazione della Palestina contro l’Italia, che aveva arrestato un suo dirigente. Per farlo, i palestinesi si sarebbero serviti del loro braccio armato, cioè il gruppo di Carlos. Kram il 2 agosto era a Bologna, all’hotel Centrale. La Frohlich, secondo alcuni testimoni, in quei giorni alloggiava all’hotel Jolly. La loro presenza in città, assieme ad altri elementi raccolti con certosina pazienza dalla Digos, ha convinto gli inquirenti a indagarli. La mole di atti raccolta è enorme: perizie sugli esplosivi, corpose traduzioni dei dettagliati rapporti della Stasi, l’ex polizia della Germania Est che pedinava il gruppo di Carlos, deposizioni, verbali, informative. Tutto contenuto nel rapporto finale che la Digos ha consegnato in Procura e che ha convinto i magistrati a procedere sull’impervia strada della ‘pista palestinese’.


IL TUTTO mentre Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione familiari delle vittime del 2 agosto, ha sempre bollato come falsità quella pista chiedendo, anche tramite due esposti, che si indaghi invece per trovare i mandanti, finora ignoti, di Mambro e Fioravanti. Ma la teoria della rappresaglia palestinese annovera diversi sostenitori. Il primo fu l’ex presidente Francesco Cossiga, che in quel terribile agosto ’80 era presidente del Consiglio. Più di recente, chi si è sempre battuto a favore di quella pista è stato il deputato di Fli Enzo Raisi, membro della commissione parlamentare Mitrokhin, dai cui atti è nata l’inchiesta bis della Procura, partita nel 2005. E ancora: il giudice Rosario Priore, che da tanti anni indaga su Ustica.


NON sarà facile, per i magistrati, far luce sui misteri della strage. I due tedeschi, già sentiti come testimoni, si sono rifiutati di rispondere. Se ora verranno interrogati come indagati, probabile che tacciano di nuovo. Carlos, dalla sua prigione parigina, parla addirittura di un terzo scenario e dice che fu la Cia mettere la bomba. In Procura nessuno vuole parlare. Si temono i contraccolpi mediatici. I prossimi passi saranno decisivi. In un senso o nell’altro.

di GILBERTO DONDI

giovedì 18 agosto 2011

Indovina chi è il nemico


Atto primo

MILANO - Gli Stati Uniti appoggiano fermamente la politica di «una sola Cina» di Pechino e non sosterranno la «indipendenza di Taiwan» e riconoscono totalmente che il Tibet è una «inalienabile parte della Cina». Lo ha affermato, secondo quanto scrive l'agenzia ufficiale Nuova Cina, il vicepresidente americano, Joe Biden, che a Pechino ha incontrato il suo omologo cinese, Xi Jinping.

ECONOMIA - Punto centrale dei colloqui però sono stati i temi economici. «Sono assolutamente fiducioso che la stabilità economica del mondo dipenda in gran parte dalla cooperazione tra Usa e Cina», ha detto Biden. «Viste le nuove circostanze», ha ribattuto Xi, «Cina e Stati Uniti condividono ancora di più ampi interessi e responsabilità comuni».

Atto secondo

Io e il governo cinese abbiamo di Mao Hengfeng la stessa opinione: è una grande rompiscatole.  Qui ci dividiamo: perché, insieme a milioni di attiviste e attivisti per i diritti umani, la tenacia e l’ostinazione di questa donna  sono motivo di ammirazione; per Pechino, sono attitudini da stroncare.
Neanche Tina Marinari, che pubblica periodicamente sul sito della Sezione Italiana di Amnesty International appelli in favore di Mao Hengfeng, ormai tiene più il conto di quante cause questa donna abbia fatto sue, dalla lotta contro la pianificazione familiare agli sgomberi forzati, di quante volte avrebbe potuto abbozzare e invece ha protestato, di quante volte sia finita in prigione, in un campo di rieducazione, agli arresti domiciliari od ospedalieri, rimbalzando da un luogo di detenzione all’altro.
Oltre due decenni di lotta per i diritti umani non hanno fiaccato il suo spirito ma hanno indebolito il suo corpo. L’ultimo periodo di “rieducazione attraverso il lavoro” avrebbe dovuto scadere il 24 agosto, ma il 28 luglio ha fatto finalmente ritorno a casa dopo aver trascorso gli ultimi cinque mesi nell’ospedale della prigione di Shanghai e oltre un anno in un centro di rieducazione attraverso il lavoro, sempre a Shanghai. È entrata in casa su una sedia a rotelle, incosciente.

In Cina, non è raro che un prigioniero venga rilasciato prima della fine della pena se è in cattive condizioni di salute. La direzione del centro di detenzione preferisce consegnarlo alla famiglia cosicché la responsabilità per la sua morte non sia attribuita alle autorità. In questo modo, l’impunità e altre violazioni dei diritti umani continuano a regnare sovrane nelle carceri e nei centri di rieducazione del paese.
Dopo un paio di giorni dal suo rilascio, Mao Hengfeng ha provato a uscire per andare in chiesa, accompagnata dal marito, ma le è stato impedito dalla polizia che tiene costantemente sotto controllo l’abitazione della famiglia. I poliziotti si sono giustificati dicendo che in quel periodo Shanghai ospitava i campionati mondiali di nuoto e che, per ragioni di stabilità sociale, le persone come lei non erano autorizzate a uscire; se ci avesse riprovato, l’avrebbero arrestata nuovamente.
L’attivismo politico e l’odissea giudiziaria di Mao Hengfeng hanno avuto inizio nel 1988, quando, dopo aver già dato alla luce due gemelli, rimase incinta ancora una volta. Alla scoperta della sua nuova gravidanza, la direzione del saponificio statale nel quale lavorava le ordinò di abortire immediatamente, rispettando in questo modo la legge sulla pianificazione familiare. Rifiutò e andò a protestare dal direttore. La ricoverarono a forza in un ospedale psichiatrico, dove la sottoposero per una settimana a un trattamento farmacologico contro la sua volontà. Nonostante tutto, diede alla luce la sua terza bambina, cui purtroppo quei farmaci hanno procurato seri danni alla salute.
Da allora Mao Hengfeng non si è più fermata. Arresti e torture sono diventati la sua vita quotidiana. Durante l’ultima condanna a 18 mesi di “rieducazione attraverso il lavoro”, ha denunciato di essere stata bastonata, aggredita dagli altri detenuti aizzati dalle guardie del centro, colpita due volte alla testa con una sedia, sollevata per braccia e gambe e scaraventata a terra. Nei cinque mesi trascorsi in ospedale a Shanghai, è stata costretta a rimanere costantemente a letto, senza poter usare il bagno o uscire a prendere un po’ d’aria, con poco cibo a disposizione e picchiata ogni qual volta provasse a lamentarsi o a trasgredire gli ordini.

Ma cosa aveva fatto Mao Hengfeng per meritarsi un anno e mezzo di “rieducazione attraverso il lavoro?” Aveva recato “disturbo all’ordine pubblico” per aver partecipato a una manifestazione davanti alla Corte intermedia municipale di Pechino, il 25 dicembre 2009, a sostegno di Liu Xiaobo, difensore dei diritti umani, il cui processo si svolgeva quel giorno. L’8 ottobre 2010, a Liu Xiaobo è stato assegnato il premio Nobel per la pace.

Bentornata a casa, coraggiosa rompiscatole!

Di Riccardo Noury

martedì 16 agosto 2011

Vienna e Bratislava. Nello zaino Libertà


Vienna e Bratislava distano appena 50 Km, la stessa lunghezza che si può percorrere per andare da Roma a Fiuggi: non a caso le capitali austriaca e slovacca sono le più vicine d'Europa. Per larga parte della loro storia hanno vissuto assieme, per anni sono state governate dalla stessa famiglia ed appartenenti allo stesso impero.
In molti, per convenienza economica, atterrano a Bratislava e si recano frettolosamente a Vienna senza degnare di uno sguardo il primo baluardo slavo d'Europa.
Le tradizioni ed i costumi della nazione slovacca sono stati messi in ombra dalla vicinanza alle cittadine mittleeuropee più conosciute, ma in realtà la sua capitale Bratislava è stata con loro protagonista della storia d'Europa degli ultimi secoli. Prima ancora che l'impero romano allargasse i suoi confini, la Slovacchia era territorio celtico (uno storico pub, 1st slovack pub,  grazie agli affreschi interni e alla croce di san patrizio sull'entrata, richiama gli antichi padri della nazione). Del resto, dominazioni romane e medievali, rimane ben poco: le strutture costruite durante il Sacro Romano Impero di Carlo Magno sono finite nei fuochi degli ottomani o trafugate dai barbari. L'aspetto artistico e culturale della città si concentra sulla storia della famiglia Asburgo: la torre di San Michele, la cattedrale di San Martino (dove per due secoli sono stati incoronati i re asburgici) ed il Castello (simbolo della capitale) sono frutto di quell'epoca.
La città è stata ed è crocevia di molte culture e per questo tutti, compresi gli anziani, parlano alla perfezione l'inglese. Difficile trovare una grande accoglienza, a differenza di quanto raccontano le guide, non esiste alcuna movimentata vita notturna, Bratislava mantiene la sua fredda serietà, il passato tragico e turbolento della capitale slovacca sembra non concedere smancerie.
I molti operai edili che si incontrano per le vie e le decine di cantieri, svelano una metropoli con la voglia di rinascere, di recuperare gli anni persi e di tornare all'altezza delle altre città europee. Non scordiamoci che fino al 1989 è stata occupata dall'Unione Sovietica, costretta all'unificazione con l'odiata Repubblica Ceca e distrutta dalle tipiche costruzioni a nido degli Urss. Nonostante la sua storia, Bratislava tiene ai mounumenti russi così come noi teniamo all'altare della patria. Il Monumento che domina la città, lo "Slavin", ricorda i caduti sovietici ed è mantenuto alla perfezione, in una città dove è facile incontrare palazzi e chiese abbandonate. Il Paese slavo ha vissuto, in un  periodo fiorente per i fascismi europei, una parentesi assai stravagante. La Slovacchia ottenne la sperata indipendenza, staccandosi da Praga grazie al Dr Joseph Tiso, prete cristiano allora "duce" della Nazione. Si alleò con l'asse e a fine guerra pagò con l'impiccagione l'alleanza con la Germania e così finirono anche i suoi collaboratori. Su Tiso, da sempre, viene attuata una forte demonizzazione che ha portato i cittadini slovacchi ad una sorta di damnatio memoriae su quel periodo.
Nel 1993, quattro anni dopo la caduta del Comunismo, la Repubblica Slovacca riottiene l'indipendenza, in accordo con i ciechi divenne uno stato sovrano .
I tentativi comunisti prima e capitalisti poi rischiano di minare quella che per anni è stata la battaglia dei cittadini Slovacchi, ritrovare la terra dei padri.

Bratislava è una città abbastanza piccola, ospita 600 mila abitanti, più o meno gli stessi residenti del municipio di Cinecittà ma vale la pena visitarla. I costi sono ancora molto bassi nonostante l'arrivo dell'Euro. Mezzi di trasporto e servizi primari non mancano.
Finita quest'esperienza non resta che spostarsi a Vienna attraverso il Danubio. Non pensiate, il viaggio sul battello costa 5 euro in più del viaggio in treno ed è sicuramente più evocativo. Non troverete traccia del tanto decantato fiume azzurro ma incontrerete sicuramente cittadine arroccate, vecchi ruderi di castelli medievali e tanta vegetazione che il nostro biondo Tevere neanche si può ricordare.

Vienna è una delle principali città Europee, conosciuta nel mondo per essere la capitale del regno degli asburgo, presenta oggi dei lati molto curiosi che ne fanno una metropoli in bilico tra la storia imperiale e la modernità della mittle Europa. La differenza con Bratislava è netta,  le dimensioni, la ricchezza e la quantità di servizi descrivono una situazione molto più agiata. Il Costo della vita è leggermente superiore di quello italiano. Sbarcando a Vienna non aspettatevi di trovare nulla di simile della Germania, neanche la lingua sembra il duro e deciso tedesco, la gente, i luoghi e la storia la fanno somigliare molto di più a una città dell'Est Europa. Non scordiamoci che Vienna si trova vicino al confine della Repubblica Ceca, della Slovacchia, D
dell'Ungheria e della Slovenia, il territorio tedesco si trova completamente ad occidente rispetto a Vienna, di fatti sembra non riguardarla per nulla. Negli ultimi 300 anni le maggiori influenze culturali sono provenute dall'Est, slavi, orientali ed arabi formano la popolazione della città, difficile incontrare viennesi, ancora più difficile saperli riconoscere. Anche solo attraverso i negozi si può notare come l'Austria sia stata incapace di ostacolare la globalizzazione sfrenata, è difficile o impossibile trovare locali e ristoranti tipici, i pochi rimasti sono lontani dal centro o troppo costosi. La città propone un infinità di monumenti provenienti dal regno degli asburgo: cattedrali, palazzi, biblioteche e giardini sono luoghi appartenenti un tempo alla famiglia reale. Nellaa Rathaus (sede del comune) e in altri posti importanti della capitale, troverete un'accoglienza speciale. Le associazioni gay hanno "vinto" l'appalto per fare l'accoglienza ai turisti, non meravigliatevi della loro insistenza, vogliono solo rendersi disponibili...
Per trovare cimeli di guerra o sprazzi di storia che ricordano come l'Austria sia stato il primo e più alleato fedele della Germania, bisogna visitare il mercato delle pulci, è aperto ogni Sabato e ci si può trovare di tutto. Alcune foto storiche ritraggono croci uncinate e gagliardetti inequivocabili.

Una nota negativa, che riguarda anche Bratislava, è la quantità di degrado umano, che circola nelle città; non è affatto difficile incontrare tossici o passare di fronte ad un gruppo di persone con dubbie intenzioni, scene sgradevoli, che fortunatamente non incontriamo a Roma da parecchio tempo.

Un viaggio e non una vacanza nelle arterie del vecchio continente sempre pronto a stuprici con la sua millenaria storia.

Alla prossima!





Non arretrare


http://nomentanoitalia.blogspot.com/

giovedì 11 agosto 2011

Chiesa Vs Cina


L’Amministrazione statale per gli affari religiosi difende l’integrità dei due vescovi scomunicati (di Leshan e Shantou) e scimmiotta il Vaticano dicendo che il gesto della Santa Sede porta “ferite” e “tristezza” fra i cattolici in Cina. Si riafferma la decisione di andare avanti con le ordinazioni senza mandato del papa, ma la “resistenza” di fedeli, sacerdoti e vescovi al loro strapotere è in aumento. Hu Jintao e Wen Jiabao dovrebbero mettere le mani sulle violazioni alla “società armoniosa” e sulla corruzione dei rappresentanti responsabili della politica religiosa.

Roma (AsiaNews) – Contro “le minacce” “irragionevoli” e “brutali” del Vaticano, un portavoce (anonimo) del governo afferma che Pechino andrà avanti per la sua via ad ordinare vescovi senza il mandato papale.

È in sintesi quanto contenuto in una dichiarazione dell’Amministrazione statale per gli affari religiosi (Asar, il vecchio Ufficio affari religiosi), pubblicata oggi sulla Xinhua.

La dichiarazione prende di mira “le accuse del Vaticano contro l’ordinazione dei vescovi della Chiesa cattolica cinese” e in particolare le ordinazioni di Leshan (29/6/2011) e Shantou (14/7/2011).

Come si sa, a Leshan è stato ordinato vescovo p. Lei Shiyin, un candidato che la Santa Sede aveva da lungo tempo rifiutato per “gravi motivi” (cfr. 29/06/2011 Leshan, sette vescovi legittimi all’ordinazione episcopale senza mandato del papa); a Shantou è stato ordinato p. Huang Bingzhang, anch’egli consigliato dalla Santa Sede a farsi da parte, anche perché a Shantou vi è già un vescovo, ma non riconosciuto dal governo (14/07/2011 Otto vescovi in comunione col papa costretti all’ordinazione illecita di Shantou).

In entrambi i casi, a ordinazioni avvenute, la Santa Sede ha pubblicato una dichiarazione in cui si rende pubblica la scomunica dei due neo-ordinati (v.: 04/07/2011 La Santa Sede condanna l’ordinazione episcopale di Leshan e 16/07/2011 La Santa Sede condanna il vescovo illecito di Shantou; apprezza “la resistenza” di vescovi e fedeli).

Va notato che la scomunica è “latae sententiae”, cioè automatica, per il fatto che uno ha compiuto il gesto di disobbedienza alla fede. In questo caso non c’era nemmeno il problema di verificare l’intenzione dei due, perché a più riprese entrambi erano stati consigliati di non concorrere all’episcopato.

L’Asar si schiera proprio contro la scomunica, questa “minaccia” “irragionevole”, questo “mezzo brutale” che “ferisce in modo profondo” i cattolici cinesi e “causa grande tristezza” a sacerdoti e laici. Ed è curioso che Pechino usi gli stessi termini (“ferite profonde” e “causa di grande tristezza”) che le dichiarazioni vaticane attribuiscono alla Chiesa universale e al papa!

Come è tradizionale prassi nel Partito comunista, occorre ritorcere le accuse contro l’interlocutore, così che mentre il Vaticano parla di lesione alla libertà religiosa, Pechino si ammanta a vittima della Santa Sede.

Lo scimmiottamento del papa e della Santa Sede, giunge al colmo quando nella dichiarazione si pontifica che “ i due nuovi vescovi ordinati sono devoti nella fede, hanno integrità e competenza, sono sostenuti dai loro sacerdoti e fedeli laici”: davvero curioso che due sacerdoti della Chiesa cattolica debbano avere la patente di ortodossia da un’associazione costruita da segretari atei, e guidata da un Partito ateo!

Il vittimismo dell’Asar giunge fino a ricordare che anche negli anni ’50 il Vaticano “ha minacciato” vescovi e preti con la scomunica, e che per questo “sacerdoti e laici della Chiesa cattolica cinese hanno sofferto un grande trauma storico”!

A parte la falsità storica dell’affermazione – in passato nessun vescovo o sacerdote è mai stato scomunicato ufficialmente e solo Giovanni XXIII ha parlato di possibile scisma nascosto nella Chiesa in Cina – l’Asar sembra non considerare le “sofferenze” e i “grandi traumi” delle decine di vescovi e centinaia di sacerdoti che hanno affrontato prigioni (fino a 20-30 anni), lager, torture, irrisioni con tribunali del popolo solo perché fedeli al papa come capo religioso della Chiesa cattolica. Se il Vaticano dovesse canonizzare tutti i martiri cinesi del comunismo, forse avremmo la canonizzazione più numerosa della storia!

Alle “minacce” del Vaticano l’Asar risponde con un’altra minaccia: “la maggioranza dei preti e dei laici sarà ancora più ferma nel [l’affermare] la strada dell’indipendenza e dell’auto-organizzazione, con vescovi autoeletti e auto-ordinati”.

Tale minaccia – di continuare le ordinazioni illecite, senza mandato del papa – è stata ripetuta giorni fa dal vescovo illecito Guo Jincai, che nel China Daily del 22 luglio ha dichiarato che “almeno sette diocesi della Cina ordineranno i loro vescovi eletti”. E ha aggiunto: “quando le condizioni saranno buone”.

Il punto è infatti che “le condizioni” sperate dall’Asar non sono buone per nulla. Sempre più fedeli, sacerdoti e vescovi prendono le distanze dalle ordinazioni illecite: a Shenyang, mons. Pei Junmin ha resistito ad essere deportato per l’ordinazione di Shantou (per la quale era stato designato come officiante principale), grazie anche alla difesa di lui che ne hanno fatto sacerdoti e fedeli della diocesi; un altro vescovo, mons. Cai Bingrui di Xiamen, precettato per Shantou, è riuscito a nascondersi ed è ricercato dalle autorità del governo.

Insomma, in tutta la Cina sta crescendo la “resistenza” della Chiesa verso le intromissioni indebite del governo su questioni religiose (v. 18/07/2011 Chiesa cinese che “resiste” allo strapotere del governo e dell’Associazione patriottica). In più, in questi giorni, molti vescovi che sono stati costretti con la deportazione a partecipare alle ordinazioni illecite, hanno subito scritto alla Santa Sede comunicando il loro gesto forzato e ricevendo il reintegro nella comunione con il papa.

La dichiarazione dell’Asar parla di “dare sostegno e incoraggiamento” a coloro che vogliono la chiesa “indipendente” e “auto-organizzata”. In realtà, finora si è assistito a deportazioni, rapimenti e sequestro dei vescovi per portarli alle ordinazioni illecite: invece di lasciare liberi vescovi e preti di decidere in modo autonomo, l’Asar ha preferito “sostegno e incoraggiamento” a forza di costrizione.

Con gusto del paradosso, la dichiarazione dell’Asar si conclude con un invito al dialogo: “I principi e la posizione del governo cinese per migliorare le relazioni con il Vaticano sono solide e chiare. Noi speriamo di iniziare un dialogo costruttivo con il Vaticano e speriamo di esplorare vie e modi per migliorare le relazioni”.

La dichiarazione chiede quindi la “rimozione della scomunica” come condizione per continuare “il giusto sentiero del dialogo”.

A parte la grossolanità di voler fare “il papa del papa”, ordinando al pontefice quanto deve fare in materia di fede, è importante questa nota sul dialogo e sulle relazioni diplomatiche. Essa è segno che nella leadership vi è ancora chi vorrebbe modernizzare la Cina garantendo reale libertà religiosa e aprendo al rapporto col Vaticano. E tali personalità si trovano nello stesso entourage del presidente Hu Jintao e del premier Wen Jiabao. Per questo - con paura e timore e in modo contraddittorio con tutta la dichiarazione – l’Asar si allinea con la leadership suprema.

Di fatto però la politica dell’Asar nei confronti della Chiesa cattolica sta lavorando contro i proclami di Hu Jintao sulla “società armoniosa” e sulla “lotta alla corruzione”. I membri del governo per gli affari religiosi e l’Associazione patriottica stanno dividendo le comunità e creando non armonia, ma nuove tensioni nella società cinese. In più, il modo con cui essi depredano beni e immobili della Chiesa apre un nuovo, fetido capitolo alla corruzione al’interno del partito.

Riuscirà Hu Jintao a sanare questo nuovo fronte di inquietudine nella società cinese? Giorni fa il card. Zen, in un appello pubblicato sull’Apple Daily di Hong Kong, chiedeva ai due leader di “dedicare un po’ del loro tempo alla cura dei cattolici” in Cina (v. 13/07/2011 Urgenti appelli del Card. Zen e di mons. Tong contro l’ordinazione illecita di Shantou). Anche noi ci uniamo a questo appello.

di Bernardo Cervellera
AsiaNews.it

mercoledì 10 agosto 2011

La fine è il mio inizio


La fine è il mio inizio racconta gli ultimi giorni di vita Tiziano Terzani. L'intervista che il figlio fa al padre e da cui nascerà il bestseller dall'omonimo titolo. Difficile entrare in una libreria che non venda i suoi testi, anche negli ultimi autogrill d'Italia campeggiano i libri dello scrittore Toscano.
La fine è il mio inizio è un film che con fatica cerca di descrivere quella che è stata la vita di un giornalista convertito allo spiritualismo, di un reporter italiano poi diventato famoso per i suoi scritti. 
Elio Germano interpreta il figlio "Folco", che recita 4 o 5 frasi in tutto il film. Il resto è il racconto di Tiziano Terzani, di ciò che è stata la sua vita e delle conclusioni tratte dalle sue esperienze.
Assai deludenti i tratti che vengono evidenziati, quella che dovrebbe essere una figura alta e saggia viene ritratta come un mediocre uomo con mediocre conclusioni a partire da "nessuna guerra è giusta, tutte le guerre generano dolore" a "ho il cuore leggero, non ho alcun desiderio" (le classiche frasi che si sentono recitare dalle "miss mondo" prima di essere incoronate). Fortemente evocative sono invece alcune immagini del film, in particolare la scena finale della montagna. Una pellicola che non rende giustizia alla storia di Terzani e che descrive tutto con una banalità imbarazzante.

Fantasie cinesi


Il regolamento emesso il 31 marzo dal governo cinese "scoraggia" i film che si basino su viaggi nel tempo, elementi fantasy, storie mitiche o mitologiche e varie credenze e superstizioni che contrastino con la tradizione del grande Paese orientale. Dunque niente più "Ritorno al futuro" per i cinesi. I sogni sono troppo pericolosi.

giovedì 4 agosto 2011

Liberate Lillis


L'irlanda è ancora un territorio in guerra. Soprusi e violenze sono all'ordine del giorno, le imposizioni inglesi, le provocazioni unioniste e i mancati diritti umani stanno riportando alla luce gli anni bui.
Sono infatti di pochi giorni fa gli scontri che hanno visto partecipi i cattolici residenti e gli unionisti che hanno cercato di irrompere nei quartieri enclave dell'Irlanda. Sono volati sassi e molotov ma non sono mancate le pistole. Sui tetti sono stati avvistati uomini armati pronti a sparare. Il Colonialismo mercantilista e l'annacquamento delle Identità non è mai stata e mai sarà una soluzione. Irlanda Libera, ora!


Brendan Lillis è un prigioniero politico irlandese repubblicano rinchiuso da piu' di 600 giorni nel cacere nordirlandese di Maghaberry. Non ci sono accuse contro di lui, è affetto da una malattia degenerativa che lo ha portato a pesare 37 chili.
Brendan sta morendo e le autorità carcerarie non intendono liberarlo. La sua compagna Roisin, insieme a numerosi ex POWs, Blanketmen e altri militanti repubblicani, ha iniziato uno sciopero della fame per chiedere la scarcerazione immediata di Brendan.
Noi ci uniamo alla protesta e dell'Italia chiediamo che la Gran Bretagna rispetti i diritti umani e liberi quanto prima Brendan, restituandolo ai suoi casi e a una vita dignitosa.

Firmiamo la petizione
http://www.petitionspot.com/petitions/releaseBrendylilli 

martedì 2 agosto 2011

I Serbi danno filo da torcere


(ANSA) - PRISTINA - La forza Nato in Kosovo (Kfor) ha chiesto l'invio di truppe supplementari dopo l'escalation di violenza della scorsa settimana, quando un valico di frontiera e' stato dato alle fiamme dalla minoranza serba del Kosovo del Nord, al confine con la Serbia. ''Stiamo chiedendo piu' truppe, non posso specificare i numeri, ma si trattera' di un battaglione'', ha dichiarato Dieter Wichter, portavoce della Kfor, precisando che la forza Nato ha comunque ''la capacita' di controllare la situazione''

In Kosovo, la situazione degenera. Una nazione creata da accordi istituzionali rischia di cadere sconfitta, la causa sembra derivare dai cittadini serbi che abitano le città kosovare nonostante l'embargo e i continui soprusi del governo fantoccio.
 E' di poco tempo fa la notizia delle accuse nei confronti del premier Thaci
http://www.ntnn.info/it/articles/kosovo-premier-accusato-di-traffico-di-organi.htm
spaccio internazionale di organi e stupefacenti non sono del tutto equiparabili a una notte passata con due ragazze giovani nel palazzo di arcore.
Stiamo giorni a lamentarci del nostro prato, ma quello del vicino, balcanico, non è per niente verde...

Il segreto di Bologna


"Nell' anniversario della strage di Bologna vogliamo rivolgere il nostro più sentito ricordo alle vittime innocenti e la nostra vicinanza ai loro familiari. Purtroppo il 2 agosto di 31 anni fa è stata scritta una delle più brutte pagine della storia italiana, vicenda sulla quale ancora oggi si addensano dubbi e perplessità. Crediamo che il modo migliore per rendere giustizia alle vittime sia quello di continuare a ricercare la verità, chiedendo che venga tolto il segreto di Stato e che il
popolo italiano possa sapere quanto è accaduto e perché, chi siano i veri responsabili e i loro mandanti. Da anni, politici, intellettuali, giornalisti, associazioni e realtà della società civile, sostengono trasversalmente che sulla strage di Bologna si sia giunti ad una verità di comodo, del resto le indagini, i depistaggi, le diverse versioni e quant' altro hanno rafforzato la convinzione che a pagare per la strage ci siano persone che non hanno commesso questo atto. Rivolgiamo un appello al
Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano affinché si impegni a nome di tutto il popolo italiano a far emergere la verità, togliendo il segreto di Stato sulla strage, poiché dopo tanto tempo l' Italia non ha dimenticato. Noi ci auguriamo che si possano trovare ulteriori elementi per riaprire le indagini. Dobbiamo avere la forza e la maturità di saperci confrontare con la nostra storia per raccontare la verità agli italiani".

Lo dichiarano in una nota congiunta i consiglieri Pdl di Roma Capitale, Ugo Cassone, Alessandro Cochi, Andrea De Priamo, Luca Gramazio e Federico Rocca.

lunedì 1 agosto 2011

L'incubo è il vostro


Mettetevi d’accordo con i vostri incubi, cari liberali d’occidente. Un massone ammiratore di Churchill che ammazza ottantaquattro ragazzi in Norvegia – e stiamo parlando di un pazzo che parla la lingua di chi teme l’Eurabia, fortunato slogan della compianta Oriana Fallaci – è ben diversa cosa da Osama bin Laden o da Rudolph Hess, due cui avete cancellato la tomba giusto per farne ancora più potenti i fantasmi, a maggior guadagno del parco horror di cui siete gestori.

Non serve accostare le fotografie dello sceicco armato di kalashnikov con quelle del biondo bionico altrettanto armato. Non sono speculari i due. Dovete mettervi d’accordo su cosa spaventare e di cosa spaventarvi perché ogni fobia ha il suo catalogo, non una medesima fenomenologia e se vi è venuto meno il nazi-islam per l’evidenza del reo confesso (che ridicolo, infatti, tutto quel rincorrere mullah dei giornali liberali, specificatamente di destra, mentre le agenzie battevano le notizie della consumante strage), se dunque non avete il musulmano con cui allestire la caccia non potete adesso cavarvela con il nazi-killer perché la sostanza è un’altra.

Tanto per cominciare quello, il norvegese, i suoi lavori di loggia se li fabbrica – anzi, se li tegola – con tanto di Bibbia in mano che è il vostro libro, giusto? E perfino quello strizzare l’occhio al white power non è la nazione ariana del Walhalla, non ci sono né Thule né il Carro di Krsna, ma una variante del KKK, ovvero il razzismo biologico di derivazione protestante che è cristianissima cosa (con tanto di croce in fiamme), ottimo per il folclore americano ma che non c’entra – in punto di filologia e di storia – con tutte le figurine delle Legioni SS evocate a sproposito perché saranno pure state il Male Assoluto, queste legioni, ma erano truppe d’assalto di un esercito transnazionale fatto di bosniaci, indiani, arabi, tedeschi ovviamente ma anche di turkmeni, tagiki, cinesi, italiani, belgi, spagnoli, russi, magiari, romeni, mongoli, ceceni e perfino sciamani, un reparto dei quali fatto di pellerossa americani con i quali probabilmente si sarebbe creato l’Inferno in terra ma difficilmente una “nazione bianca”.

Mettetevi d’accordo dunque, specialmente voi, cari liberali di derivazione destrorsa, a fare a gara con gli esorcismi e rassegnatevi a un fatto conclamato: a furia di evocare i fondamentalismi, specie quelli fatti ad arte, vi nascono in casa quelli genuini. E con radici ideologiche generate da aborti mostruosi qual è, prima di tutti, la xenofobia. E’ quella degli svignettatori del Profeta, quella di chi brucia il Santo Alcorano, quella delle micragnose botteghe elettorali cui fate sempre il pat pat affettuoso anche voi, colleghi giornalisti dell’opinione liberalcapitalista, per il servizievole incarico che vi fanno a voi e a quelli che poi diventano deputati, ministri e amministratori dello smagliante occidente: quello di tenere lontani i saraceni con le vostre sagre dell’odio. Era da manuale l’editoriale di Magdi Allam sul Giornale. Spiegava che la colpa dell’avvenuta strage era da ricercare nell’estrema liberalità della Norvegia, troppo tollerante con i musulmani, e perciò terreno di coltura degli esagitati incapaci di sostenere tanta multietnicità. Quando si dice l’Abate Vella! (cfr. “Il Consiglio d’Egitto”, Leonardo Sciascia).

E nel mettervi d’accordo con i vostri stessi incubi però, una cosa: non sbagliate a parlare, non sbrodolate facilonerie come quella di colorare la biografia di questo pazzo armato con Odino, con le divinità nordiche in genere, con quel pantheon sacrissimo di ghiaccio e luce perché, appunto – unicuique suum – Anders Behring Breivik, infatti, di suo, s’è scelto la Bibbia. Qui non si vuol fare la furbata di rendere pan per focaccia ma non si venga a parlare di citazioni sbagliate del killer solo perché non vi combacia l’incubo con il fantasma. Per quel che ci riguarda, qui si cerca di mettere un argine in nome e per conto della Tradizione: la vicenda di Odino e delle rune al seguito non può dunque essere considerata alla stregua dello scroto, quasi una coperta utile a coprire il Male laddove vengono a mancare gli utilissimi musulmani cui aggiudicare uno sterminio. La Tradizione, insomma, non si pone mai il biblico problema di raddrizzare il legno storto dell’umanità. Quello è affar vostro. La Tradizione, appunto, non è biblica e soprattutto non ammira Churchill. Piuttosto contempla il Sole. E il Carro di Krsna.

di Pietrangelo Buttafuoco