venerdì 20 aprile 2012

Due tibetani si sono autoimmolati con il fuoco a Ngaba



Choephag Kyab e Sonam chiedevano la fine dell’occupazione cinese e il ritorno del Dalai Lama in Tibet. Di recente, poliziotti cinesi hanno infierito su un tibetano che si era appena dato fuoco. Segretario generale del Tibetan Youth Congress: “Una barbarie assoluta che alimenterà le nostre proteste”.


Dharamshala (AsiaNews/Agenzie) - Due tibetani si sono autoimmolati con il fuoco a Ngaba, nel Sichuan, chiedendo la fine dell'occupazione cinese in Tibet e il ritorno del Dalai Lama. Secondo fonti del governo tibetano in esilio, il fatto è avvenuto ieri intorno all'una (ora locale). Nessuna notizia certa sulle loro condizioni. I due avrebbero 20 anni e sono stati identificati come Choephag Kyab e Sonam.

In una dichiarazione di pochi giorni fa, il Dalai Lama ha chiesto alle autorità cinesi di interrogarsi sulle "cause reali" delle autoimmolazioni in Tibet. Il leader spirituale dei buddisti tibetani ha già più volte invitato i religiosi a evitare gesti estremi, aggiungendo tuttavia di non poter condannare chi si lascia prendere dallo sconforto.

Di recente, un video ha mostrato alcuni poliziotti cinesi picchiare e accanirsi su un tibetano che si era appena autoimmolato, mentre il suo corpo era ancora avvolto dalle fiamme. Intervistato dal Phayul, Tenzin Chokyi, segretario generale del Tibetan Youth Congress,afferma che  la "barbarie assoluta" mostrata dalle autorità di Pechino "alimenterà solo più risentimento e protesta" contro il regime.

"Assistere al loro sacrificio - aggiunge Chokyi - rinforza la nostra determinazione a lavorare per un Tibet libero".

Con il gesto di ieri salgono a 35 i tibetani che si sono autoimmolati per criticare la dittatura di Pechino e chiedere il ritorno del Dalai Lama in Tibet.

Fonte: Asianews.it

domenica 15 aprile 2012

venerdì 13 aprile 2012

La cosa più imperdonabile della Costituzione ungherese. (di Marcello Veneziani)

di Marcello Veneziani

«Ecco avanzare in Ungheria lo spettro della reazione... sotto l’egida del clericalismo conservatore con l’intento di tornare al passato, annullando lademocrazia e la libertà». È impressionante notare che le stesse parole usate oggi in Europa per condannare la nuova Costituzione ungherese, rea di difendere la tradizione, la famiglia e la sovranità nazionale e popolare rispetto al potere delle banche, siano state adoperate dal compagno Sandro Pertini per sostenere nel 1956 l’invasione dei carri armati sovietici in Ungheria.

Le tesi di Pertini collimavano con le tesi del Pci, anche nella sua ala moderata. Il compagno Giorgio Napolitano, ad esempio, scriveva che l’azione sovietica in Ungheria evitava «che nel cuore dell’Europa si creasse un focolaio di provocazioni» e benediceva l’intervento sovietico per impedire che l’Ungheria cadesse «nel caos e nella controrivoluzione», così contribuendo «in maniera decisiva, non già a difendere gli interessi militari e strategici dell’Urss ma a salvare la pace nel mondo». I carri armati e la repressione sanguinosa del popolo ungherese, in nome della pace... Se al posto dei carri armati dell’Urss mettete i carri finanziari della Ue, le parole del 1956 ritornano nel nostro presente. Certo, la dominazione euro-finanziaria è incruenta; lo spread non uccide, anche se talvolta induce al suicidio.

Sto parlando di due cose diverse ma analoghe. Le citazioni dei due presidenti della Repubblica quando erano esponenti del Psi e del Pci, sono tratte da Budapest 1956. La macchina del fango di Alessandro Frigerio uscito in questi giorni da Lindau, con prefazione di Paolo Mieli (pagg. 250, euro 21). Il libro ripercorre la vergognosa posizione dei comunisti italiani in favore dell’invasione militare sovietica e della brutale repressione. E racconta «lamacchina del fango» (ma quella vera, originale) della disinformazione filo-sovietica ad opera di intellettuali, stampa ed esponenti della sinistra. Furono in pochi a sottrarsi: onore a Giolitti e a quel rustico galantuomo di Peppino Di Vittorio, o a quei militanti che uscirono dal Partito. Tra i socialisti ci fu una corrente filocomunista, detta dei «carristi», perché favorevoli ai carri armati: Pertini si era già segnalato tre anni prima per le sperticate lodi a Stalin nel giorno della sua morte. Passato sepolto, per carità.

Ma quel che inquieta è che la rivolta degli ungheresi contro il regime comunista fu bollata all’epoca con gli stessi epiteti con cui oggi si marchia a fuoco la nuova Costituzione ungherese, votata dal 70% del Parlamento, liberamente e democraticamente eletto nel 2010. Una Costituzione che cancella quella comunista e filosovietica del 1949. Ma gli eurocrati e i loro alleati politici, intellettuali, tecno-finanziari, preferivano quella precedente.

Sulla nuova costituzione ungherese è stata allestita una disinformazione che somiglia a quella filosovietica del ’56. Cosa scandalizza gli europei di quel testo e perché solo agli ungheresi è proibito riconoscersi nel patriottismo della loro Costituzione? Dio entra nella Costituzione, dicono indignati e allarmati. Vorrei ricordare che Dio è già entrato da due secoli e mezzo nellaCostituzione americana e non ha mai fatto danni alla libertà e allademocrazia. Il riferimento alla «grazia di Dio e alla volontà della nazione» era anche la formula dell’Italia libera e unita nata dal Risorgimento. Perché «Dio salvi la regina» britannica va bene e invece non va bene «Dio salvi l’ungherese», molto più democratico perché estende la benedizione a tutto il popolo? La Costituzione ungherese non impone poi una professione di fede ma riconosce al cristianesimo «il ruolo avuto nel conservare l’integrità dellanazione». Un riferimento storico, non confessionale. Che avrebbe dovuto fare anche l’Europa in tema di radici nella sua Costituzione. Ma la Carta ungherese sottolinea, e nessuno lo ricorda, «il rispetto per le varie tradizioni religiose».

Alla Costituzione magiara non perdonano poi il riconoscimento della famiglia come base della nazione, bene da tutelare, incoraggiando ad avere figli e concependola formata da un uomo e una donna, come del resto ogni civiltà ha inteso finora nella storia del mondo. Non c’è divieto di altre unioni, c’è lapromozione della famiglia. Un altro suo imperdonabile peccato è il riconoscimento del diritto alla vita e alla dignità umana, la protezione dell’embrione e del feto sin dal concepimento, il rigetto delle pratiche di eugenetica, dell’uso del corpo a scopo di lucro, la proibizione della clonazione, oltre alla difesa di donne, bambini, anziani e disabili.Si può condividere o meno quest’impianto ma non c’è nulla di criminale o disumano, illiberale o antidemocratico.

Ma la cosa più imperdonabile è un’altra: la Costituzione ungherese subordina la Banca Centrale all’interesse nazionale e impone ai suoi vertici di giurare fedeltà all’Ungheria (e il governo ha messo l’imposta speciale sui profitti delle banche). Questa, per gli eurocrati, è la colpa principale e il motivo ultimo per cui vogliono staccare l’ossigeno a giugno all’Ungheria del conservatore Orban. Il proposito indigna perfino il Wall Street Journal che ha denunciato la discriminazione nei confronti dell’Ungheria e il ricatto di negarle i fondi europei assegnati ad altri Paesi.

La disinformazione denuncia poi minacce ungheresi alla libertà di stampa: in realtà è previsto l’obbligo di rivelare le fonti quando è in pericolo la sicurezza nazionale, si prevedono multe, non chiusure o carcerazioni. E si tutela il made in Ungheria, stabilendo ad esempio per le radio di trasmettere almeno il 40 per cento di musica ungherese. (Norme proposte anche dalla sinistra europea per difenderci dall’americanizzazione).

Certo, può non piacere il tono patriottico e l’enfasi religiosa della Costituzione e non mancano aspetti non condivisibili: ad esempio, per colpire il ruolo invasivo della magistratura, si prevedono inaccettabili invasioni inverse, del potere esecutivo sul potere giudiziario. Ma ritenere che un Paese sia eversivo perché tutela la famiglia, latradizione e la sovranità nazionale e popolare, è roba degna della macchina del fango filosovietica del ’56. Anche se i carri armati oggi si chiamano banche.

mercoledì 11 aprile 2012

10 Domande all'Iran. Intervista a Radio IRIB


Clicca sul link per ascoltare l'intervista






Strage di Bologna. L'ora della verità!


Sono più di due anni che Carlos chiede incessantemente di parlare con la magistratura italiana, per rivelare la verità sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980 e anche “di altre stragi”.  Ma i nostri pubblici ministeri non sembrano avere tempo per la delicata questione: saranno forse troppo impegnati negli scandali dei nostri politici!?

Carlos pronto a parlare: “Tutta la verità sulla strage del 2 agosto”

Bologna, 6 aprile 2012 - CARLOS lo Sciacallo torna a farsi vivo. E lancia un messaggio forte: «Sono pronto a dire tutto ciò che so per trovare i veri responsabili della strage del 2 agosto». Ilich Ramirez Sanchez, 62 anni, venezuelano, il terrorista più famoso del mondo, è attualmente detenuto nel carcere di massima sicurezza di Poissy, a Parigi, e proprio da lì ha mandato due lettere a un avvocato bolognese, Gabriele Bordoni, per nominarlo quale difensore di fiducia ed esprimere la propria posizione sulla bomba alla stazione e non solo.Sulla strage la Procura ha da tempo aperto un fascicolo bis e, di recente, c’è stata una svolta clamorosa. Il pm Enrico Cieri ha infatti indagato i due terroristi di sinistra Christa Margot Frolich e Thomas Kram, tedeschi, entrambi ex membri del gruppo di Carlos. Si tratta della cosiddetta ‘pista palestinese’, per la quale la bomba fu la punizione dei palestinesi all’Italia che aveva violato il ‘lodo Moro’. Per la strage, va ricordato, la magistratura ha invece condannato in via definitiva i terroristi ‘neri’ Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini.
Carlos, dal canto suo, ha un’idea diversa. Per lui furono la Cia e il Mossad, ma non ha mai voluto fornire prove.

QUANDO Cieri è andato a interrogarlo, anni fa, si è fermato subito: «Voglio parlare davanti a una commissione d’inchiesta in Italia». Ora fa molti passi avanti: si dice pronto a parlare ai magistrati e a dire tutto ciò che sa, chiedendo di essere trasferito in Italia (di recente, peraltro, la giustizia francese l’ha condannato per uno dei numerosi attentati di cui è accusato).

Scrive lo Sciacallo, in inglese:

«Egregio signore, ho appena ricevuto la sua lettera del 12 marzo scorso. Vorrei aiutarla ad eliminare gli ostacoli al fine di trovare i veri responsabili dell’attacco terroristico di Bologna. Sono inoltre pronto a rilasciare dichiarazioni sotto giuramento alla magistratura italiana competente».
Non si ferma solo alla strage di Bologna, Carlos, ma promette rivelazioni su altre stragi: «Tuttavia — continua —, dovremo incontrarci qui di persona non appena possibile al fine di preparare il miglior approccio tecnico per smantellare il muro di bugie che hanno bloccato la verità degli anni di sanguinari massacri di civili innocenti avvenuti in Italia. Qui le allego una lettera in francese, designandola come mio avvocato difensore per tutte le mie faccende in Francia… per prevenire ogni conflitto che potrebbero impedire la sua difesa degli interessi della famiglia Signorelli».

Paolo Signorelli, morto nel 2010, ideologo ‘nero’ accusato e poi scagionato per la strage, era assistito proprio da Bordoni. Conclude Carlos: «Ci faccia sapere con largo anticipo la data della sua visita». Poi la firma: «Vostro nella Rivoluzione, Carlos». L’altra lettera, in francese, è la designazione ufficiale dell’avvocato bolognese.

BORDONI sta già studiando le prossime mosse: «Carlos già nel settembre 2010 mi fece arrivare un messaggio, tramite il collega Sandro Clementi, dopo aver letto un articolo del Carlino. L’intenzione mia è da tempo quella di andarlo a sentire in Francia. L’ho chiesto alla Procura, ma il pm ha ritenuto non fosse utile. Mi sono rivolto inutilmente al magistrato di collegamento italo-francese e al nostro ministero. Per questo alla fine l’unica strada era quella della nomina. Domani (oggi; ndr) tornerò dal pm e gli chiederò di andare insieme a Parigi, visto che Carlos dice di avere nuovi elementi e di volerli rivelare. In caso negativo, ci andrò io e raccoglierò le sue indicazioni». La parola, ora, passa alla Procura.

di Gilberto Dondi

Fonte: Il resto del Carlino