venerdì 16 dicembre 2011

Intervista a Giovanni Lindo Ferretti


Pubblichiamo un'interessante intervista a Giovanni Lindo Ferretti, ex cantante dei cccp poi csi e pgr. Oggi scrive per una rubrica de "L'avvenire" e parla di un mondo migliore legato al filo della tradizione. A volte le esperienze più strampalate riconducono lo spirito nella casa madre...

Li ricordo, ai tempi di Ko de mondo. Li ricordo in una fotografia scattata in Bretagna, dove si registrava il disco. Erano una truppa folta, ben assortita, vigorosa. Se il rock era una battaglia da affrontare, loro erano pronti. Avevano chitarre affilate e parole da scagliare come sassi. Erano tanti e agguerriti. Ne son rimasti tre. E da domani, nessuno più.
La notizia è che i PGR si sciolgono. E i PGR erano quel che rimaneva dei CSI, vale a dire il gruppo italiano più importante del suo tempo. E i CSI erano a loro volta la continuazione dell’esperienza dei CCCP. Fatte le somme, si chiude una storia fondamentale per il rock di casa nostra. I “superstiti” Giovanni Lindo Ferretti, Gianni Maroccolo e Giorgio Canali ci lasciano comunicando le Ultime notizie di cronaca, 9 canzoni scarne, asciutte, minimali che gettano uno sguardo intenso e anticonvenzionale sulle cose del mondo. Non è neanche più il lavoro di un gruppo, ma di tre individualità che s’incontrano in modo splendidamente disfunzionale. Li avvicino in due diverse occasioni: prima durante una conferenza stampa, poi per un’intervista faccia a faccia. Chiacchierare con Ferretti spazza via ogni stupidaggine sul suo profilo di profeta punk. Se lui è il canto, l’ateo Canali è il discanto, il diavoletto che gli va ironicamente contro. Dei tre, Maroccolo è il musicista per eccellenza e in quanto tale contrario a mettere fine a un’esperienza tanto feconda: risponde alle mie domande, ma pare stia cercando di parlare agli altri due. I tre incarnano la possibilità che persone diverse, ma di talento, possano non solo lavorare, ma anche creare bellezza. L’aria che si respira è quella della fine di una grande avventura. L’album di cinque anni fa si concludeva con la promettente Si può: «Me ne voglio andare per monti a camminare, essere migliore, lavorare, studiare». Il disco nuovo riparte da lì: dalla montagna, da Cerreto Alpi, mille anime, provincia di Reggio Emilia. La musica rock sta giù a valle e per Ferretti è oramai un punto remoto.


È un disco fatto per dovere, questo, ma non per obbligo.
Ferretti: «È frutto di un contratto del 1997, che fino all’ultimo non volevo nemmeno firmare. È stato un onore e un onere. Ero in difficoltà: non credevo di avere cose da esprimere. Sono stati Gianni e Giorgino a stimolarmi inviandomi le musiche che avevano scritto separatamente. Non è stato un lavoro artistico, ma di artigianato».
In passato era diverso?
Ferretti: «Sì. In passato eravamo un gruppo di amici che vivevano insieme, si confrontavano, discutevano. Quando c’era da fare un disco interrompevamo la nostra vita e ci riunivamo in un luogo deputato alla musica dove mangiavamo, suonavamo, litigavamo. Ora invece ho sperimentato il telelavoro: ci siamo visti a casa di Gianni una decina di giorni, per lavorare poi in assoluta solitudine».
Canali: «Lui è uno che non legge neanche le e-mail».
Ferretti: «Me le devono portare a mano».
D’anime e d’animali era un disco di pancia, rock. Questo è più minimale, senza nemmeno un batterista. È un accidente o una scelta?
Ferretti: «È un progetto che loro due coltivavano da tempo».
Canali: «Tabula Rasa Elettrificata doveva essere fatto così, con multitracce che giravano a staffetta fra i musicisti: ognuno avrebbe aggiunto la sua parte. Non lo si fece per motivi economici: eravamo in tanti e molti avrebbero dovuto essere affiancati da un tecnico del suono».
Maroccolo: «Da tempo andavamo in questa direzione. Poi non se n’è mai fatto nulla perché è difficile tirar fuori una sintesi da sei persone con una personalità forte. Quel che siamo riusciti a fare in passato ha qualcosa di eroico».
Ferretti: «Le canzoni mal riuscite sono quelle in cui non si è riusciti a mettere insieme due idee contrarie. Come Io e Tancredi: le parole sono strepitose, ma la canzone è tremenda».
È un disco di testi forti: in quale misura li sposate?
Maroccolo: «Giovanni è in uno stato di lucidità assoluto. Sottoscrivo i suoi testi al 100%: quelli di oggi e quelli del passato. Non faccio parte del coro che si meraviglia dei suoi cambiamenti».
Canali: «Anche perché obiettivamente i cambiamenti sono finti, virtuali. Mi piace una cosa che ha detto Giovanni: faccio lo stesso disco da vent’anni. Per contenuti e atmosfere Ultime notizie di cronaca non è diverso da Linea gotica».
Ferretti: «Quando c’erano Massimo Zamboni e Francesco Magnelli mi ponevo il problema di trovare una mediazione nelle mie parole. Dovevo raccontare anche loro. Il problema questa volta non s’è posto: ho chiuso ogni cronaca pensando a me».
Perché allora buttare via il gruppo?
Maroccolo: «A me viene da parafrasare il testo di Non torna: a me non torna niente, niente torna mai. Non lo capisco perché ci stiamo sciogliendo. Non capisco perché non suoniamo. Diversamente da loro, non ho vissuto questo disco come un obbligo».
Ferretti: «Non c’è niente che riguardi noi, il nostro stare insieme. È la vita che ha preso altre strade. E la mia vita è dominata da un grande dovere: ho una madre molto malata, da un anno e mezzo mi dedico esclusivamente a lei. In ogni caso farei fatica a uscire dal mio quotidiano per entrare in una dimensione riconducibile al rock’n’roll. Mi si addice piuttosto l’inanellare parole: quello lo faccio con piacere e tensione, tant’è che su certi testi non ci dormo la notte. Sono tre anni che giro con due tipologie di spettacoli musicali: o voce e violino o due voci maschili, organetto e violino. Non frequento le città, solo la provincia: pievi di montagna, cortili di palazzi rinascimentali, sale di castelli, piccoli teatri. Lo spettacolo si chiama Bella gente d’Appennino, è una ricerca sul potere della voce e una riflessione sul vivere in montagna. Potrebbe uscire un live. Inoltre, debbo un secondo libro alla Mondadori».
E che ne pensi, Giorgio, dello scioglimento?
Canali: «Abbiamo dato tutto. Abbiamo svuotato il magazzino. Io non mi sono mai sbilanciato, lo faccio adesso: Ultime notizie di cronaca è la cosa più bella che abbiamo fatto insieme, anche se loro non saranno d’accordo...».
Maroccolo: «Questi sono i PGR: uno pensa che l’altro stia pensando qualcosa... Sono anni che andiamo avanti così (risate, nda)».
Non siete mai stati un gruppo unito, tipo gang?
Maroccolo: «Mai, neanche ai tempi dei CSI».
Ai tempi di Ko de mondo sembravate un esercito...
Ferretti: «Ma un esercito non è un gruppo. Quante litigate... E loro che si aspettavano sempre una mia crisi nervi...».
Maroccolo: «Una dinamica così non può funzionare se vuoi fare un vero gruppo. Siamo stati longevi – e chissà se lo saremo ancora in qualche altra forma – proprio per questo motivo. Anche Giovanni che essendo un cantante...».
Ferretti: «Un cantore...».
Maroccolo: «Anche lui, che a volte non tollera i musicisti, non può prescindere dalla musica. Magari non con noi, ma è destino che faccia ancora musica. Perché è unico. Fa il falso modesto, ma sarà ricordato nella storia della musica non solo italiana per un modo di cantare che è solo suo».
Com’è nato questo salmodiare?
Ferretti: «Non lo so, non lo so».
In questo disco risalta ancora di più...
Maroccolo: «Era ora».
Ferretti: «Oh, queste registrazioni sono nate alla prima, alla seconda prova».
Qui non c’è alcuna ricerca melodica, nel canto.
Ferretti: «Per un periodo sono stato fortunato perché ho avuto come maestri di canto prima Magnelli, poi Ginevra Di Marco. Mi hanno insegnato ad apprezzare la musica. Queste sono invece cronache: mi sarei vergognato ad arricchirle di melodie. Ascolto i cantanti giovani: cantano benissimo, ma fanno cagare, sono cloni. Ci vorrebbe una bella sbattuta come fu il punk».
L’idea di fare cronaca è nata subito?
Ferretti: «Sì, è antecedente alla raccolta del materiale. Da anni ormai ho capito che il mio approccio alla parola è la cronaca in senso medievale».
L’inizio con Cronaca montana trasmette un senso di pacificazione.
Ferretti: «Quel pezzo racchiude il disco. È la canzone più swing che abbia fatto. Swing per me che sono stato squadrato con l’accetta e rintuzzato col martello. È ariosa. Sono i miei ultimi cinque anni di vita».
Maroccolo: «È la prefazione del disco».
Le canzoni nascono da esperienze personali.
Ferretti: «Le parole di Cronaca filiale erano inimmaginabili prima che cominciassi a prendermi cura di mia madre. Lei reggeva il mondo: era impensabile che adesso io regga lei».
Non interviene una forma di pudore nell’esporre un testo così personale?
Ferretti: «No, ed è un pensiero che ho maturato al tempo dell’agonia di Giovanni Paolo II. Ne parlai con Gianni e convenimmo che si mostrava sì, ma con pudore. Lo vedevamo con la bava alla bocca, ma era il nostro Papa. Mi fa senso il fatto che i bimbi non debbano vedere i morti o i malati. La vita ha una sua ragion d’essere, anche se magari non la capiamo tutta. Il raccontare di una madre che non esiste più se non come immagine è come il Papa che permette alle telecamere di riprenderlo. Non manca di pudore chi si mostra per quello che è. Le parole di Cronaca filiale sono state pesate. Poche parole come “Lesto nel pudore, audace in tenerezza” raccontano scene irraccontabili in altro modo. Essere figlio o padre è un’esperienza incredibile, se uno è in grado di apprezzarla. Ti dà accesso a una comprensione della vita meno superficiale. Confrontarsi con il dolore fa parte del vivere».
In Cronaca del 2009 canti di essere «fecondi d’aborto» e di «democratiche soluzioni eutanasiche»...
Ferretti: «Chi mi segue – perché mi vuol bene o mi detesta – sa che sono cose che mi stanno a cuore. Ripensando alla mia stessa vita, mia madre avrebbe potuto abortire per centomila buoni motivi. E mi sembra faticoso e difficile discutere sul fine vita: difficile, sì, ma doveroso. Non sono un politico, lo faccio perché mi tocca di persona. Offro alla riflessione un pezzo della mia storia personale, parlo di queste cose perché le sperimento quotidianamente».
Pensi che oggi la vera guerra si combatta sul significato dell’esperienza umana?
Ferretti: «Si combatte sul significato delle parole. In Spagna Zapatero ha fatto una legge per cui non è più possibile utilizzare i termini “padre” e “madre”, ma si usa un termine “genitoriale” indifferente al sesso. Cazzo, questa è una guerra con la storia dell’umanità e con l’esistenza degli uomini. Non sono pacifista, per cui se per legge non posso parlare di padre e madre, io ti faccio fuori. Ho un problema con i pacifisti dal tempo in cui ci fu l’embargo di tre anni a Sarajevo: una città obbligata a morire senza potersi armare e difendere, tre anni sotto i bombardamenti in onore della pace. Non ci sono mai state così tante guerre al mondo e non c’è mai stato un tale abuso del termine pace. Affanculo! Se cerchi di distruggere il mio paese, io cerco di armarmi e difendermi. È esperienza umana, animale, religiosa, quel che vuoi».
In questo senso il nuovo album aggiorna il discorso di D’anime e d’animali...
Ferretti: «Per quanto mi riguarda aggiorna il discorso di Affinità e divergenze tra il compagno Togliatti e noi. Mi torna tutto: i cambiamenti stanno nella logica della vita. Questo è il disco che regalo ai miei dieci amici che non vedo da un anno e mezzo perché non uso telefono, né e-mail: c’è tutto quello che devo dire. Sono le lettere che non ho spedito».
Le devi spedire anche a Giorgio e a Gianni? Voglio dire, c’è una discussione tra di voi di certi temi?
Maroccolo: «Non si discute dell’acquisito. Ognuno capisce quel che vuole capire».
Ferretti: «Io mi stupisco di come i loro strumenti dicano le cose che dico io, però con la musica».
Canali: «Del resto Giovanna d’Arco sentiva le voci... (risate, nda)».
Ma questo non dirsi le cose non sconfina nella mancanza di comunicazione?
Ferretti: «In teoria hai ragione. Ma nella pratica la bontà di questo disco dimostra che non è così. Io in cinquant’anni non ho mai abbracciato mia madre: questo non mette in discussione il fatto che sono suo figlio».
In Cronaca di guerra II dici che la «riffa diplomatica mette in palio il Nobel»...
Ferretti: «A volte sembra che guerra e pace siano difficilmente distinguibili. Quando una cricca diplomatica decide che il Nobel per la pace può essere dato ad Arafat e non a Giovanni Paolo II, io dico: tenetevelo, il vostro Nobel».
Che ne pensi del nuovo Papa?
Ferretti: «Sono molto legato a Benedetto Decimosesto. Dopo aver letto su Manifesto e Repubblica insulti all’allora Cardinale Ratzinger, mi sono chiesto: chi è che si prende le ire di tutti? Sono entrato in una libreria cattolica e ho comprato tutti i suoi libri in italiano, nove. È stata una sorpresa incredibile. Mi sono molto affezionato al suo pensiero e alla sua persona. Ho ritagliato una sua foto e l’ho appesa in casa. Ho scoperto il mio maestro».
Quanto c’è in tutto questo del gusto punk dell’andare contro?
Ferretti: «È una mia profonda ragion d’essere. Il mio interesse per il mondo nasce più dal negativo che dal positivo. Entro nelle cose della vita dalla porta secondaria del cattivo gusto».
Oltre alla parte teologica, ti sono piaciuto anche le sue mosse da Pontefice?
Ferretti: «Ne sono molto contento. Se posso vado a Roma a prendermi la benedizione del Papa la domenica. Comunque, me la prendo dalla televisione».
Pensi abbia un’ingerenza nella politica?
Ferretti: «Il Papa deve fare il Papa: deve dire la verità della Chiesa, non deve andare d’accordo con la società. È difficile farlo dopo Giovanni Paolo II che aveva un legame fortissimo coi media. Condivido anche le idee sull’uso del preservativo. Ma siete stati in Africa? Avete mai preso in mano un preservativo? Avete visto le mani di un africano? Al continente africano serve un approccio diverso alla vita, alla corporalità, al mistero della femminilità e della mascolinità».
Mi stupisco ogni volta delle reazioni violente alla tua evoluzione. Cos’è che scatena la gente?
Canali: «Si chiama stupidità. Una generazione intera cantava davanti al palco dei CCCP “Madre di Dio e dei suoi figli” e si è accorta vent’anni dopo che lui è cattolico: ma per favore!».
Ferretti: «Alla Virgin ci dissero che Madre non potevamo permettercela, per via del nostro pubblico. L’Antonella (Annarella, nda) rispose: fatevi i cazzi vostri, ché tanto tutti la canteranno col pugno alzato. Oh, è esattamente quello che succedeva. Come mi disse un prete: Ferretti, la gente è stupida».
Maroccolo: «Unità di produzione diceva: peggio di così (col comunismo, nda) non poteva andare. Eppure 8 mila persone l’ascoltavano col pugno alzato. Cazzo capivano quelli? Chi è fottuto dall’ideologia vive in un mondo che non ha niente a che fare con la vita reale».
Ferretti: «Però incontro in amicizia persone che hanno scritto cose orribili su di me. La vita è di più della professione delle idee che facciamo su di essa».
L’album si chiude in bellezza con Cronaca divina, un testo che non stonerebbe in una liturgia e che comprende il Te Deum.
Ferretti: «Ho chiesto a Giorgio una chitarra miscredente, forte, che desse idea della complessità. È un sibilo fastidioso, ma quando cominci a seguirla ti rendi conto che non è molto lontana dalle mie parole. Il Santus è una mia preghiera quotidiana: l’ho registrata sul vuoto e ho detto a loro due di farne quel che volevano».
Cronaca divina è una professione di fede.
Ferretti: «È esattamente quello».
Però si conclude con la frase «Eli Eli lama sabactani»,  «Dio, perché mi hai abbandonato?».
Ferretti: «Non sono un santo, sono un peccatore e come tale percepisco nella mia vita l’abbandono di Dio. Vivere è un casino. E quella è l’ultima frase che Dio nella sua manifestazione umana dice durante la sua vita terrena».
Canali: «Imbarazzante il paragone, eh?».

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