giovedì 5 gennaio 2012

Avanti ragazzi di Buda


La piccola Ungheria guidata dal conservatore Viktor Orban si mette di traverso al Fondo Monetario Internazionale, all’Unione europea e alle banche di mezzo mondo. Il quarantanovenne primo ministro ha deciso di intestarsi la lotta ai big della finanza con una sostanziosa tassa agli istituti di credito e alle assicurazioni (0,45% e 5% degli utili) che dovrebbe garantire un flusso di entrate di circa 700 milioni di euro, che saranno utilizzati per ridurre il deficit pubblico. Per far questo Orban ha messo alla porta i rappresentanti del Fmi e quelli della Ue scatenando le prevedibili reazioni preoccupate dell’Europa e un moto di simpatia che corre sul web. Non si contano i post sui social network che riportano la notizia del “coraggio magiaro” contro le lobby che in tutta Europa hanno «commissariato la politica e la sovranità popolare»:
«Si tratta di una misura giusta e necessaria», ha detto Orban, «perché va incontro agli interessi della popolazione in un periodo così difficile. Le banche d’altra parte sono all’origine della crisi globale e per questo è del tutto normale che contribuiscano a ripristinare la stabilità». Anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano, verrebbe da commentare, ma a giudicare dall’allarme generale e dal coro di proteste di Usa, Germania e Francia la faccenda è più seria di quanto sembri, anche se per la grande stampa indipendente non sembra appassionarsi alla vicenda. Come se non bastasse il governo ungherese ha approvato un tetto ai salari dei dipendenti pubblici, compresi i dirigenti della banca nazionale d’Ungheria e del consiglio per le politiche monetarie, facendo inviperire il governatore della Banca Centrale, Andras Simor, che si è visto tagliare del 75% la retribuzione di 8 milioni di fiorini ungheresi mensili, circa 27000,40 volte il salario medio di un lavoratore ungherese. E ancora, Orban ha ridotto di 9 punti (dal 19 al 10%) la tassazione per le aziende con un fatturato annuo inferiore ai 500 milioni di fiorini (1,7 milioni di euro) con effetto retroattivo al primo luglio e ha vietato i mutui in valuta straniera che hanno favorito il debito verso l’estero.
L’obiettivo dichiarato del secondo governo Orban (il primo è durato dal 1988 al 2002) è rompere con la subordinazione dei suoi predecessori ai mercati internazionali e ristabilire la sovranità economica. Linguaggio diretto e politicamente scorretto, il giusto tasso di eresia, il premier vuole mandare definitivamente alle ortiche l’ideologia che ha caratterizzato l’Ungheria dopo la caduta del regime comunista. Oggi il sogno ungherese, almeno a parole, è quello di tornare al potere sovrano, annebbiato negli ultimi otto anni dai governi socialisti-liberali. Il piano è tutt’altro che avveniristico: le istituzioni finanziarie create dallo Stato sono tutte dirette da uomini di fiducia di Orban e anche se le banche austriache o tedesche possono ricomprare delle banche ungheresi, nulla vieta il contrario. Il vero problema di questo progetto non è quello che gli rimproverano gli ambienti d’affari (solo apparentemente apolitici) o i dotti analisti progressisti, ma il rischio che, in caso di fallimento, Budapest si ritroverebbe in ginocchio. Ma il giovane Viktor, che ieri è finito nel tritacarne della protesta civile, non è nuovo a provvedimenti choc: basta pensare alla legge sulla cittadinanza ungherese concessa anche quanti vivono all’estero, a quella sull’assetto dei media, subito ribattezzata “bavaglio” dalle sentinelle della democrazia europea, e il varo della nuova Costituzione ungherese, in vigore dal 1 gennaio. Sarebbero centomila, secondo gli organizzatori, i manifestanti scesi in piazza ieri sera a Budapest contro il “tiranno provinciale e fuori dal tempo” e la Carta costituzionale che ha suscitato le critiche dell’Unione europea e, neanche a dirlo, del capo della diplomazia americana Hillary Clinton.

Gloria Sabbatini

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