di Marcello Veneziani
«Ecco avanzare in Ungheria lo spettro della reazione... sotto l’egida del clericalismo conservatore con l’intento di tornare al passato, annullando lademocrazia e la libertà». È impressionante notare che le stesse parole usate oggi in Europa per condannare la nuova Costituzione ungherese, rea di difendere la tradizione, la famiglia e la sovranità nazionale e popolare rispetto al potere delle banche, siano state adoperate dal compagno Sandro Pertini per sostenere nel 1956 l’invasione dei carri armati sovietici in Ungheria.
Le tesi di Pertini collimavano con le tesi del Pci, anche nella sua ala moderata. Il compagno Giorgio Napolitano, ad esempio, scriveva che l’azione sovietica in Ungheria evitava «che nel cuore dell’Europa si creasse un focolaio di provocazioni» e benediceva l’intervento sovietico per impedire che l’Ungheria cadesse «nel caos e nella controrivoluzione», così contribuendo «in maniera decisiva, non già a difendere gli interessi militari e strategici dell’Urss ma a salvare la pace nel mondo». I carri armati e la repressione sanguinosa del popolo ungherese, in nome della pace... Se al posto dei carri armati dell’Urss mettete i carri finanziari della Ue, le parole del 1956 ritornano nel nostro presente. Certo, la dominazione euro-finanziaria è incruenta; lo spread non uccide, anche se talvolta induce al suicidio.
Sto parlando di due cose diverse ma analoghe. Le citazioni dei due presidenti della Repubblica quando erano esponenti del Psi e del Pci, sono tratte da Budapest 1956. La macchina del fango di Alessandro Frigerio uscito in questi giorni da Lindau, con prefazione di Paolo Mieli (pagg. 250, euro 21). Il libro ripercorre la vergognosa posizione dei comunisti italiani in favore dell’invasione militare sovietica e della brutale repressione. E racconta «lamacchina del fango» (ma quella vera, originale) della disinformazione filo-sovietica ad opera di intellettuali, stampa ed esponenti della sinistra. Furono in pochi a sottrarsi: onore a Giolitti e a quel rustico galantuomo di Peppino Di Vittorio, o a quei militanti che uscirono dal Partito. Tra i socialisti ci fu una corrente filocomunista, detta dei «carristi», perché favorevoli ai carri armati: Pertini si era già segnalato tre anni prima per le sperticate lodi a Stalin nel giorno della sua morte. Passato sepolto, per carità.
Ma quel che inquieta è che la rivolta degli ungheresi contro il regime comunista fu bollata all’epoca con gli stessi epiteti con cui oggi si marchia a fuoco la nuova Costituzione ungherese, votata dal 70% del Parlamento, liberamente e democraticamente eletto nel 2010. Una Costituzione che cancella quella comunista e filosovietica del 1949. Ma gli eurocrati e i loro alleati politici, intellettuali, tecno-finanziari, preferivano quella precedente.
Sulla nuova costituzione ungherese è stata allestita una disinformazione che somiglia a quella filosovietica del ’56. Cosa scandalizza gli europei di quel testo e perché solo agli ungheresi è proibito riconoscersi nel patriottismo della loro Costituzione? Dio entra nella Costituzione, dicono indignati e allarmati. Vorrei ricordare che Dio è già entrato da due secoli e mezzo nellaCostituzione americana e non ha mai fatto danni alla libertà e allademocrazia. Il riferimento alla «grazia di Dio e alla volontà della nazione» era anche la formula dell’Italia libera e unita nata dal Risorgimento. Perché «Dio salvi la regina» britannica va bene e invece non va bene «Dio salvi l’ungherese», molto più democratico perché estende la benedizione a tutto il popolo? La Costituzione ungherese non impone poi una professione di fede ma riconosce al cristianesimo «il ruolo avuto nel conservare l’integrità dellanazione». Un riferimento storico, non confessionale. Che avrebbe dovuto fare anche l’Europa in tema di radici nella sua Costituzione. Ma la Carta ungherese sottolinea, e nessuno lo ricorda, «il rispetto per le varie tradizioni religiose».
Alla Costituzione magiara non perdonano poi il riconoscimento della famiglia come base della nazione, bene da tutelare, incoraggiando ad avere figli e concependola formata da un uomo e una donna, come del resto ogni civiltà ha inteso finora nella storia del mondo. Non c’è divieto di altre unioni, c’è lapromozione della famiglia. Un altro suo imperdonabile peccato è il riconoscimento del diritto alla vita e alla dignità umana, la protezione dell’embrione e del feto sin dal concepimento, il rigetto delle pratiche di eugenetica, dell’uso del corpo a scopo di lucro, la proibizione della clonazione, oltre alla difesa di donne, bambini, anziani e disabili.Si può condividere o meno quest’impianto ma non c’è nulla di criminale o disumano, illiberale o antidemocratico.
Ma la cosa più imperdonabile è un’altra: la Costituzione ungherese subordina la Banca Centrale all’interesse nazionale e impone ai suoi vertici di giurare fedeltà all’Ungheria (e il governo ha messo l’imposta speciale sui profitti delle banche). Questa, per gli eurocrati, è la colpa principale e il motivo ultimo per cui vogliono staccare l’ossigeno a giugno all’Ungheria del conservatore Orban. Il proposito indigna perfino il Wall Street Journal che ha denunciato la discriminazione nei confronti dell’Ungheria e il ricatto di negarle i fondi europei assegnati ad altri Paesi.
La disinformazione denuncia poi minacce ungheresi alla libertà di stampa: in realtà è previsto l’obbligo di rivelare le fonti quando è in pericolo la sicurezza nazionale, si prevedono multe, non chiusure o carcerazioni. E si tutela il made in Ungheria, stabilendo ad esempio per le radio di trasmettere almeno il 40 per cento di musica ungherese. (Norme proposte anche dalla sinistra europea per difenderci dall’americanizzazione).
Certo, può non piacere il tono patriottico e l’enfasi religiosa della Costituzione e non mancano aspetti non condivisibili: ad esempio, per colpire il ruolo invasivo della magistratura, si prevedono inaccettabili invasioni inverse, del potere esecutivo sul potere giudiziario. Ma ritenere che un Paese sia eversivo perché tutela la famiglia, latradizione e la sovranità nazionale e popolare, è roba degna della macchina del fango filosovietica del ’56. Anche se i carri armati oggi si chiamano banche.
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