di Marcello De Angelis
Chiunque mi legga, anche per cogliermi in fallo e criticarmi, mi rende
onore. Penso a quelle migliaia di persone che passano le giornate a
scrivere velenosi insulti su blog e siti altrui per illudersi di essere
ascoltati. Io invece sono fortunato. Se il prossimo solstizio – come
sostiene la profezia maya – finisse il mondo, non avrei molti
rammarichi. La vita mi ha dato molte soddisfazioni e anche l’esperienza
di questo anno e mezzo come direttore del Secolo, in cui la vicinanza
dei lettori e soprattutto di chi ha lavorato con me per salvare questa
storica testata è stata meravigliosa. Nella comunità politica della
quale ho fatto parte ormai per 40 anni (mi sono iscritto con mio
fratello al Msi a 13 anni) sembra essere arrivata di nuovo a un punto di
snodo che comporterà forse scelte distinte. Nel rispetto di ognuno,
questo mi provocherà dipiacere, perché allenterà alcuni legami, anche se
non minerà le amicizie. Non ho condiviso buona parte delle scelte che
questa comunità si è trovata a fare in questi decenni, eppure non ho
voluto o forse potuto allontanarmi mai dal corso del suo fluire. In
disaccordo, in dissenso, brontolando, ma senza mai potermene distaccare.
Come non si cambia il nome di famiglia. Come non si può diventare altro
da sé, nemmeno se ci si costringe a cambiare nome. Mi manca ogni
persona che ho incrociato in questo lungo cammino e che ho perduto.
Anche quelli che si sono perduti da soli, anche quelli che si sono
perduti persino a se stessi. Morti e vivi, amici diventati nemici, chi
mi ha tradito e chi si è sentito tradito da me. Chi ho amato e chi ha
smesso di amarmi. Serberò tutti nel cuore. Comunque vada.
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