venerdì 15 aprile 2011

Afghanistan quanto sei vicino...



“Kaffir” è il titolo che Andrea Marrone, scrittore di origine comasca, ha scelto per il suo romanzo sui militari in Afghanistan. Infedele, questo il significato di Kaffir in pashtu, uno dei dialetti della lingua afgana. Infedele per loro è colui che non crede in Allah, un infedele dell’Islam quindi, come gli italiani e tutti gli stranieri impegnati in missioni di pace nella loro terra. Considerare questi ragazzi dei kaffir, mette immediatamente a luce l’ostilità che questa popolazione prova verso l’occupazione del loro territorio. Territorio in balia di Al Qaeda e dei Talebani, dai quali gli afgani vorrebbero difendersi da soli, pur essendo perfettamente consapevoli di non esserne in grado. E allora arrivano gli italiani, gli americani, arriva la Nato per difendere questo popolo dalle insidie degli uomini di Bin Laden. Per questo devono imparare a fidarsi, ad accettare il loro aiuto e in alcuni casi, perché no, anche a chiederlo. Ed è proprio sull’amore-odio fra esercito italiano e popolo afgano che Andrea Marrone getta le fondamenta di “Kaffir”. Fiducia, bisogno, riconoscenza, che nascono dalla volontà, dalla forza d’animo e soprattutto dall’ideale che spinge i nostri ragazzi a scegliere questa vita. Sono proprio loro i protagonisti di questo romanzo: i ragazzi dell’esercito italiano, che attraverso l’esperienza di Giacomo Gabbro, protagonista della storia, vogliono mostrarci la loro verità. Spesso si parla di loro in maniera sbagliata, superficiale, si ignora ciò che realmente spinge questi giovani ventenni ad intraprendere una carriera così dura e rischiosa. Ragazzi che si arruolano volontariamente nell’esercito e che per grandi capacità e forti motivazioni, entrano a far parte di corpi speciali, con la possibilità di essere protagonisti della ricostruzione di una civiltà straniera, in nome del popolo italiano rappresentato oltre confine, e in nome di una giustizia e di una libertà che li spinge ad indossare quella divisa. E Andrea Marrone scrive Kaffir col chiaro intento di mostrare ai suoi lettori, ciò che di questi giovani, non si conosce o non si vuole conoscere.
Marrone è stato militare di leva nella Folgore ed è proprio dall’incontro “con un amico vero, un amico con cui ho diviso sudore, notti insonni….”, che nasce l’idea del libro. L’incontro, ma soprattutto il confronto che il nostro scrittore ha avuto con alcuni militari della Folgore, ha suscitato in lui il desiderio di raccontare, attraverso un romanzo, spaccati di vita quotidiana, di una quotidianità a noi ignota, lontana. E lo fa attraverso le vicende che accompagnano il caporale Giacomo Gabbro nella sua prima missione all’estero. Giacomo, personaggio di fantasia ma così realmente vero, è un paracadutista della Folgore giunto in Afghanistan senza esperienze precedenti, ma con una grande volontà e temerarietà. Ha paura, come tutti i comuni mortali, ma la motivazione è più forte di ogni brutto pensiero, di ogni parola dei suoi cari che cerchi di convincerlo a non andare. L’amore per quella divisa è più forte anche di quello per Arianna, la donna amata che non comprende la sua scelta e, impaurita da quello che potrebbe succedere e che potrebbe investirla, decide di tirarsi indietro, di lasciare Giacomo proprio alla vigilia della partenza. Andrea Marrone è bravo a farci vivere in prima persona i sentimenti di Giacomo, come degli altri protagonisti, senza mai scendere in sentimentalismi. L’arrivo in Afghanistan di Giacomo è intriso di emozione, di tensione, ma mai di incertezza. Alla base Carpi il caporale Gabbro diventa subito uno di loro, non ci sono sospetti, dubbi, antipatie, ma una grande “solidarietà e cameratismo”. Giacomo risulta subito simpatico agli altri con quella sua aria assorta, pensierosa. E’ un ragazzo sensibile, amante della cultura classica, un idealista puro. Gli viene regalato una sorta di vocabolario italiano-afgano e inizia a studiare il pashtu, imparando in breve anche a parlarlo, mettendo in mostra il suo accoglimento verso il prossimo e le sue diversità. Giacomo crede nella missione in Afghanistan, è fermo nel voler far capire a queste persone che non tutti i feringhi ( così chiamati gli stranieri nel libro) vengono per nuocere. E lo fa non appena ne ha la possibilità. Lo fa stringendo, quella che alla fine si potrà senz’altro chiamare un’amicizia, con un anziano di un villaggio non troppo lontano dalla base. Il saaquib e gli altri anziani hanno delle remore verso il caporale Gabbro, ma soprattutto verso la sua divisa e ciò che rappresenta. Gli afgani sono un popolo di guerrieri ma dopo l’occupazione sovietica e la lunga guerra, non subiscono più il fascino delle divise. Ma Giacomo riesce a conquistarli, a portarli dalla sua parte, a far accettare loro l’aiuto dell’esercito italiano. E lo fa trasmettendo a questa gente la sua verità, la sua reale solidarietà, la sua sincera speranza di pace per questo popolo. Il capitano Freddi, il caporalmaggiore Santi, il tenente Mugnaini sono tutti orgogliosi di questo ragazzo dal grande “spirito di iniziativa”, perché “è un paracadutista, ….uno di noi”. E’ con questa frase così ricca di significato, di spirito di appartenenza che Andrea Marrone chiude il suo romanzo. Un manoscritto di spessore, ricco di emozione, di valori, di quel rispetto per gli altri e di quel senso di comunità e di gruppo, che oggi, non riscontriamo quasi più in una società dove impera l’egoismo e l’egocentrismo. Ed è per questo che consigliamo la lettura di Kaffir, affinchè come scrive lo stesso Marrone si impari “ a distinguere l’allora dall’oro”.


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