giovedì 11 agosto 2011

Chiesa Vs Cina


L’Amministrazione statale per gli affari religiosi difende l’integrità dei due vescovi scomunicati (di Leshan e Shantou) e scimmiotta il Vaticano dicendo che il gesto della Santa Sede porta “ferite” e “tristezza” fra i cattolici in Cina. Si riafferma la decisione di andare avanti con le ordinazioni senza mandato del papa, ma la “resistenza” di fedeli, sacerdoti e vescovi al loro strapotere è in aumento. Hu Jintao e Wen Jiabao dovrebbero mettere le mani sulle violazioni alla “società armoniosa” e sulla corruzione dei rappresentanti responsabili della politica religiosa.

Roma (AsiaNews) – Contro “le minacce” “irragionevoli” e “brutali” del Vaticano, un portavoce (anonimo) del governo afferma che Pechino andrà avanti per la sua via ad ordinare vescovi senza il mandato papale.

È in sintesi quanto contenuto in una dichiarazione dell’Amministrazione statale per gli affari religiosi (Asar, il vecchio Ufficio affari religiosi), pubblicata oggi sulla Xinhua.

La dichiarazione prende di mira “le accuse del Vaticano contro l’ordinazione dei vescovi della Chiesa cattolica cinese” e in particolare le ordinazioni di Leshan (29/6/2011) e Shantou (14/7/2011).

Come si sa, a Leshan è stato ordinato vescovo p. Lei Shiyin, un candidato che la Santa Sede aveva da lungo tempo rifiutato per “gravi motivi” (cfr. 29/06/2011 Leshan, sette vescovi legittimi all’ordinazione episcopale senza mandato del papa); a Shantou è stato ordinato p. Huang Bingzhang, anch’egli consigliato dalla Santa Sede a farsi da parte, anche perché a Shantou vi è già un vescovo, ma non riconosciuto dal governo (14/07/2011 Otto vescovi in comunione col papa costretti all’ordinazione illecita di Shantou).

In entrambi i casi, a ordinazioni avvenute, la Santa Sede ha pubblicato una dichiarazione in cui si rende pubblica la scomunica dei due neo-ordinati (v.: 04/07/2011 La Santa Sede condanna l’ordinazione episcopale di Leshan e 16/07/2011 La Santa Sede condanna il vescovo illecito di Shantou; apprezza “la resistenza” di vescovi e fedeli).

Va notato che la scomunica è “latae sententiae”, cioè automatica, per il fatto che uno ha compiuto il gesto di disobbedienza alla fede. In questo caso non c’era nemmeno il problema di verificare l’intenzione dei due, perché a più riprese entrambi erano stati consigliati di non concorrere all’episcopato.

L’Asar si schiera proprio contro la scomunica, questa “minaccia” “irragionevole”, questo “mezzo brutale” che “ferisce in modo profondo” i cattolici cinesi e “causa grande tristezza” a sacerdoti e laici. Ed è curioso che Pechino usi gli stessi termini (“ferite profonde” e “causa di grande tristezza”) che le dichiarazioni vaticane attribuiscono alla Chiesa universale e al papa!

Come è tradizionale prassi nel Partito comunista, occorre ritorcere le accuse contro l’interlocutore, così che mentre il Vaticano parla di lesione alla libertà religiosa, Pechino si ammanta a vittima della Santa Sede.

Lo scimmiottamento del papa e della Santa Sede, giunge al colmo quando nella dichiarazione si pontifica che “ i due nuovi vescovi ordinati sono devoti nella fede, hanno integrità e competenza, sono sostenuti dai loro sacerdoti e fedeli laici”: davvero curioso che due sacerdoti della Chiesa cattolica debbano avere la patente di ortodossia da un’associazione costruita da segretari atei, e guidata da un Partito ateo!

Il vittimismo dell’Asar giunge fino a ricordare che anche negli anni ’50 il Vaticano “ha minacciato” vescovi e preti con la scomunica, e che per questo “sacerdoti e laici della Chiesa cattolica cinese hanno sofferto un grande trauma storico”!

A parte la falsità storica dell’affermazione – in passato nessun vescovo o sacerdote è mai stato scomunicato ufficialmente e solo Giovanni XXIII ha parlato di possibile scisma nascosto nella Chiesa in Cina – l’Asar sembra non considerare le “sofferenze” e i “grandi traumi” delle decine di vescovi e centinaia di sacerdoti che hanno affrontato prigioni (fino a 20-30 anni), lager, torture, irrisioni con tribunali del popolo solo perché fedeli al papa come capo religioso della Chiesa cattolica. Se il Vaticano dovesse canonizzare tutti i martiri cinesi del comunismo, forse avremmo la canonizzazione più numerosa della storia!

Alle “minacce” del Vaticano l’Asar risponde con un’altra minaccia: “la maggioranza dei preti e dei laici sarà ancora più ferma nel [l’affermare] la strada dell’indipendenza e dell’auto-organizzazione, con vescovi autoeletti e auto-ordinati”.

Tale minaccia – di continuare le ordinazioni illecite, senza mandato del papa – è stata ripetuta giorni fa dal vescovo illecito Guo Jincai, che nel China Daily del 22 luglio ha dichiarato che “almeno sette diocesi della Cina ordineranno i loro vescovi eletti”. E ha aggiunto: “quando le condizioni saranno buone”.

Il punto è infatti che “le condizioni” sperate dall’Asar non sono buone per nulla. Sempre più fedeli, sacerdoti e vescovi prendono le distanze dalle ordinazioni illecite: a Shenyang, mons. Pei Junmin ha resistito ad essere deportato per l’ordinazione di Shantou (per la quale era stato designato come officiante principale), grazie anche alla difesa di lui che ne hanno fatto sacerdoti e fedeli della diocesi; un altro vescovo, mons. Cai Bingrui di Xiamen, precettato per Shantou, è riuscito a nascondersi ed è ricercato dalle autorità del governo.

Insomma, in tutta la Cina sta crescendo la “resistenza” della Chiesa verso le intromissioni indebite del governo su questioni religiose (v. 18/07/2011 Chiesa cinese che “resiste” allo strapotere del governo e dell’Associazione patriottica). In più, in questi giorni, molti vescovi che sono stati costretti con la deportazione a partecipare alle ordinazioni illecite, hanno subito scritto alla Santa Sede comunicando il loro gesto forzato e ricevendo il reintegro nella comunione con il papa.

La dichiarazione dell’Asar parla di “dare sostegno e incoraggiamento” a coloro che vogliono la chiesa “indipendente” e “auto-organizzata”. In realtà, finora si è assistito a deportazioni, rapimenti e sequestro dei vescovi per portarli alle ordinazioni illecite: invece di lasciare liberi vescovi e preti di decidere in modo autonomo, l’Asar ha preferito “sostegno e incoraggiamento” a forza di costrizione.

Con gusto del paradosso, la dichiarazione dell’Asar si conclude con un invito al dialogo: “I principi e la posizione del governo cinese per migliorare le relazioni con il Vaticano sono solide e chiare. Noi speriamo di iniziare un dialogo costruttivo con il Vaticano e speriamo di esplorare vie e modi per migliorare le relazioni”.

La dichiarazione chiede quindi la “rimozione della scomunica” come condizione per continuare “il giusto sentiero del dialogo”.

A parte la grossolanità di voler fare “il papa del papa”, ordinando al pontefice quanto deve fare in materia di fede, è importante questa nota sul dialogo e sulle relazioni diplomatiche. Essa è segno che nella leadership vi è ancora chi vorrebbe modernizzare la Cina garantendo reale libertà religiosa e aprendo al rapporto col Vaticano. E tali personalità si trovano nello stesso entourage del presidente Hu Jintao e del premier Wen Jiabao. Per questo - con paura e timore e in modo contraddittorio con tutta la dichiarazione – l’Asar si allinea con la leadership suprema.

Di fatto però la politica dell’Asar nei confronti della Chiesa cattolica sta lavorando contro i proclami di Hu Jintao sulla “società armoniosa” e sulla “lotta alla corruzione”. I membri del governo per gli affari religiosi e l’Associazione patriottica stanno dividendo le comunità e creando non armonia, ma nuove tensioni nella società cinese. In più, il modo con cui essi depredano beni e immobili della Chiesa apre un nuovo, fetido capitolo alla corruzione al’interno del partito.

Riuscirà Hu Jintao a sanare questo nuovo fronte di inquietudine nella società cinese? Giorni fa il card. Zen, in un appello pubblicato sull’Apple Daily di Hong Kong, chiedeva ai due leader di “dedicare un po’ del loro tempo alla cura dei cattolici” in Cina (v. 13/07/2011 Urgenti appelli del Card. Zen e di mons. Tong contro l’ordinazione illecita di Shantou). Anche noi ci uniamo a questo appello.

di Bernardo Cervellera
AsiaNews.it

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