mercoledì 25 maggio 2011

Made in...

  

Negli ultimi anni la Cina ci ha abituato a recepire le più raccapriccianti notizie sulla qualità dei suoi prodotti. L’immissione anomala di questo Paese nel mercato mondiale ha rappresentato, sin dal primo momento, una grande contraddizione politica-economica. La sua capacità concorrenziale è data da parametri in disaccordo con la nostra produzione, ma anche con quelle che sono le normative che regolano la produttività nell’intero mondo occidentale. La loro prerogativa è, ed è sempre stata, la quantità. Immettere sul mercato enormi quantitativi di prodotti di ogni genere a bassissimo costo. D’altronde è proprio questa la legge della libera concorrenza. Ma privilegiare la quantità, per questa popolazione, ha significato limitarne la qualità. A quale prezzo? La fase iniziale della globalizzazione, la mancata accettazione da parte della Cina degli accordi di Kyoto che avrebbero dovuto limitare il fattore inquinamento da parte dei Paesi più industrializzati, ci aveva subito mostrato il carattere spregiudicato di questo Paese. La concorrenza cinese è stata subito spietata. Il primo passo è stato quello della contraffazione di griffes d’alta moda e marchi più o meno commerciali che ha creato senz’altro danni alle grandi aziende, quantomeno sul piano dell’immagine.

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